Se fa male, è la verità

di igniculusdesiderii

Ti ho detto due formule magiche. “Non ti ho mai stimata.” “Non mi sono mai fidata di te.” Da quando te le ho dette, mi trascino per i passi della mia vita come l’ultimo degli abietti. Mi sento una traditrice. Una traditrice di tutto ciò che è degno e bello. Una traditrice di te, e del sogno che eravamo noi due. E ho la conferma definitiva che non ci capisco un cazzo di sentimenti, nè dei miei, nè dei tuoi; e non ci ho capito un cazzo per ben 4 anni.

Non riesco a comprendere da sola cosa è successo. Quando ti ho visto per la prima volta ho avuto un terribile colpo di fulmine. Sapevo di non essere ancora pronta, di avere ancora un sacco di casini in testa, sapevo di essere il pattume esistenziale che in fondo sono rimasta – e ho remato con tutta me stessa contro di me, contro di te – ma io non so nemmeno capire quando ho fame, figurarsi capire che sono innamorata. E’ successo, e sono stati quattro anni di tempesta, in cui tutti i miei difetti sono diventati più insopportabili e più distruttivi, e anche tu, ammettiamolo, me ne hai fatte passare davvero di tutti i colori. Ti ho trovata grezza e inesperta per intelletto e sensibilità, e mi sono sentita sola nella mia testa. Ho scoperto che eri scorretta, inaffidabile, invadente, approfittatrice, e che potevi diventare davvero terribile. Ogni giorno mi svegliavo nauseata, impaurita e invaghita come se avessi sentito il canto delle sirene. Qualche parte di me sapeva che tu mi capivi meglio di chiunque altro, ad un livello primordiale, che le parole, la ragione, il buonsenso e nemmeno la felicità riuscivano a capire. Le nostre viscere erano fuse le une nelle altre. Forse ho riconosciuto che tu avevi dentro la stessa tempesta che avevo io, e se volevamo affondare insieme a qualcuno beh, era l’occasione giusta.

Non riesco a capire come sia possibile. Un sentimento tanto imperituro, da entrambe le parti, tanto distruttivo e tanto insensato da resistere a qualunque ragionamento, scavalcare l’amor proprio ed il rispetto altrui. E’ ancora lì, come una mostruosa pianta rampicante che striscia su due poveri alberi e vive a spese loro.

Lo sappiamo entrambe, non scherzo affatto se dico che ci stavamo per morire. Niente di metaforico. Parlo della morte vera. Quella che poi marcisci ed i vermi ti mangiano. Come fanno i nostri sentimenti ad essere ancora lì?

Come faccio a disprezzarti così tanto, e a desiderarti così, come se solo tu potessi qualcosa?
Come può una cosa così abietta essere così sublime?

E non lo chiedo alla psicologia, non lo chiedo alle scienze sociali. Lo chiedo a Dio. Non mi importa del come. Quello lo sanno anche i muri. Codipendenza affettiva, la chiamano. Io voglio una risposta di senso. E non credo in dio, ma sono un essere umano, e la domanda “che senso ha?” è scritta nei miei geni. Che cosa crudele, questi piccoli esseri umani senza senso non possono vivere, ma il loro mondo è molto più grande dei loro infimi significati, della loro minuscola coscienza. Gli altri mi dicono “lascia perdere e divertiti un po’!”. Sanno che stavo per morire, e solo questo sanno dirmi. Gli altri non sanno, non possono capire. Lasciamoli perdere. Questo incubo è soltanto nostro. Nessun altro invitato.

Spero solo che il tempo passi, che le cose grandi e piccole della vita mi ubriachino abbastanza da dimenticare queste domande. Ma ho paura di me stessa. So quanto posso essere lucida.