Parliamo (in modo orribile) di sesso

di igniculusdesiderii

(Questo articolo ha buttato ogni pudore nel cesso, mi è costato veramente tantissimo scriverlo. Siete avvisati).

Scherzo spesso sul sesso, ma non ne parlo quasi mai. Un po’ perchè, anche volendo, non ne potrei parlarne con nessuno. Un po’ perchè, in fondo, tutta l’ironia che ci faccio, e tutta la disinvoltura che ostento, servono in realtà a coprire un forte disagio, chiamiamolo pure trauma continuo, che ho avuto in infanzia.

Nella mia casa il sesso è sempre stato considerato un argomento come un altro, e una cosa di cui gioire. E’ andato tutto bene finchè avevo 4 anni, non me ne importava molto, e a spiegarmelo erano i libri che i miei genitori mi regalavano. Le cose sono peggiorate quando sono cresciuta un pochino (tra le litigate furiose dei miei genitori) e mi sono accorta che quella del “sesso cosa bella” era una sorta di “ideologia di partito familiare”, superficiale, fintamente gioiosa.

La realtà è che la nostra casa trasudava sesso, in modo invasivo, privo di rispetto. I libri pornografici lasciati in giro per casa come se niente fosse, le battutacce di mio padre (Io: “sono proprio tappata!” (di cibo, dopo il pranzo) Lui: ma sei tappata di sotto o di sopra?” (davanti a tutti, ad un pranzo di famiglia), le palpate continue e fuori luogo a mia madre, che lei sopportava tiepidamente (e, una volta, quando fui un po’ più grandicella, il fatidico dildo lasciato tranquillamente sul lavandino del bagno). Litigi e scopate, litigi e scopate. Minacce di pestaggio e pacche sul culo. Una continua insidia, una ferita quotidiana, e nessuno l’ha mai capito. Sentivo, con quel sesto senso terribile che hanno i bambini, che:

1) i miei genitori facevano sesso come se non ci fosse un domani e, mancando della delicatezza necessaria ad approcciare l’argomento con me nel modo appropriato, speravano di sbolognare tutto il lavoro sporco a dei libretti.

2) che a mia madre non piaceva fare sesso con mio padre, non piaceva affatto, eppure si prestava all’attività per accontentare lui, che potendo avrebbe fatto sesso anche per strada.

Tutto questo, mescolato ai rapporti furiosi tra i miei genitori e i loro rispettivi ruoli di padrone/bambino e di serva/mamma, hanno creato nella mia testa di bambina di 10 anni un’idea ben precisa. “Il sesso è una cosa viscida, una violenza, una cattiveria, e lo devi accettare per forza, ti deve piacere per forza sennò non vali niente.” Per qualche motivo avevo capito che la regola riguardava anche me. “Noi ti vogliamo bene, quindi devi ingoiare tutto ciò che ti fa schifo e non lamentarti – solo in questo modo avremo una buona opinione di te e ti vorremo bene.”

Una volta, solo una volta ho provato a dire a mio padre quanto mi facesse schifo tutto questo. Si sconcertò, si disse persino offeso dalle mie parole, e si mise a fare la vittima come al solito sbraitando “è ovvio che io e tua madre facciamo sesso!”. Offeso da me. Avrò avuto 11 anni ed ero sua figlia. Alla me stessa di allora vorrei dire “mandalo a fare in culo”. (Con mia madre è inutile parlarne. Mia madre è ancora immatura e lunatica a 50 anni e passa.)

Non ne ho mai parlato con nessuno. Nemmeno con la mia lei che amavo tanto, e di sicuro avrebbe compreso. Non si spaventava mai di quello che avevo dentro, lei. Le sono profondamente grata per questo. Lei mi ha guarito un po’. Per la prima volta, dopo 5 anni e due ex fidanzati, ho fatto sesso senza piangere a dirotto, senza sentirmi un rifiuto umano, e ho sentito veramente qualcosa – e anche se fuori dal letto andava tutto male, dentro al letto era come stare a casa. Un’altra casa, una casa vera, che sentivo mia e amavo veramente. E’ stata la prima a chiedermi scusa per qualcosa.

Cosa vorrei? Non nascondo che ho desiderato più volte di evirare o di spedire mio padre all’altro mondo. E mi dispiace, non me ne pento. Lo so che è folle, lo so che è sbagliato, ma il mio cuore non si pente, parlate con lui se siete senza peccato. Tuttavia vorrei anche fuggire il più lontano possibile da mia madre, che tenta a piè sospinto di trascinarmi con lei in quel mondo di sudditanza e sopportazione infelice che lei chiama “gentilezza” – e non voglio farle del male ulteriore, voglio solo tutelare me stessa con coraggio e chiarezza senza che qualcuno mi sminuisca, mi dica che “esagero” in continuazione. Affondi pure nell’inferno che si è creata; io non c’entro nulla e difenderò me stessa con le unghie e con i denti, adesso che posso. Prima non potevo. Adesso posso.

Che dire di altro? Che non ho superato niente di tutto questo. Che mi vergogno profondamente di quello che sento, come se fosse colpa mia. Sento ancora oggi le voci dentro di me, che mi guardano con benevolenza saccente, e mi dicono che la realtà era normale, non ho alcun motivo di sentirmi così ferita, ho interpretato male, dovrei darmi una calmata, su che non è successo niente.

Ancora oggi per me ogni interazione umana è violenza. O io faccio male a loro, o loro fanno male a me. E tutto questo non fa che alimentare il mio modo sballato di vivere il sesso. Spiegherò perchè, se non mi prenderà un colpo prima, nel prossimo post.